Diete Vegetariane e Malattie Croniche
Malattie Cardiovascolari (CVD)
E' stata utilizzata l'analisi della letteratura scientifica basata sull'evidenza per valutare lo stato dell'arte della ricerca sulla relazione tra pattern dietetici vegetariani e fattori di rischio CVD. Sono state formulate due domande per l'analisi di evidenza:
- Qual è la relazione tra dieta vegetariana e cardiopatia ischemica?
- Qual è l'assunzione in micronutrienti di una dieta vegetariana associata con i fattori di rischio CVD?
Cardiopatia ischemica.
Due ampi studi di corte e una metanalisi hanno trovato che i vegetariani presentano un rischio inferiore di morte per cardiopatia ischemica rispetto ai non-vegetariani. La riduzione del rischio di morte è stata osservata sia nei latto-ovo-vegetariani che nei vegani. La differenza nel rischio persisteva anche dopo aggiustamento per BMI, abitudine al fumo e classe sociale. Questo appare particolarmente significativo dal momento che il più basso BMI comunemente osservato nei vegetariani è un fattore che può permettere di spiegare la riduzione del rischio di cardiopatia nei vegetariani. Se questa differenza del rischio persiste anche dopo aggiustamento per il BMI (NdT: quindi la differenza nel rischio persiste anche dopo che è stata eliminata l'influenza del BMI sul rischio stesso), altri aspetti di una dieta vegetariana possono essere responsabili della riduzione del rischio, in aggiunta e al di là di quello che ci si può attendere a causa del ridotto BMI. EAL Conclusion Statement: una dieta vegetariana è associata con un ridotto rischio di morte per cardiopatia ischemica.
Due ampi studi di corte e una metanalisi hanno trovato che i vegetariani presentano un rischio inferiore di morte per cardiopatia ischemica rispetto ai non-vegetariani. La riduzione del rischio di morte è stata osservata sia nei latto-ovo-vegetariani che nei vegani. La differenza nel rischio persisteva anche dopo aggiustamento per BMI, abitudine al fumo e classe sociale. Questo appare particolarmente significativo dal momento che il più basso BMI comunemente osservato nei vegetariani è un fattore che può permettere di spiegare la riduzione del rischio di cardiopatia nei vegetariani. Se questa differenza del rischio persiste anche dopo aggiustamento per il BMI (NdT: quindi la differenza nel rischio persiste anche dopo che è stata eliminata l'influenza del BMI sul rischio stesso), altri aspetti di una dieta vegetariana possono essere responsabili della riduzione del rischio, in aggiunta e al di là di quello che ci si può attendere a causa del ridotto BMI. EAL Conclusion Statement: una dieta vegetariana è associata con un ridotto rischio di morte per cardiopatia ischemica.
Livelli ematici di grassi (lipidi).
Il ridotto rischio di morte per cardiopatia ischemica osservato nei vegetariani potrebbe essere in parte spiegato dalle differenze nei livelli ematici di lipidi. Sulla base della valutazione dei livelli ematici di lipidi in un ampio studio di coorte, l'incidenza di cardiopatia ischemica è stata stimata essere inferiore del 24% nei vegetariani dalla nascita e del 57% nei vegani dalla nascita rispetto ai carnivori. Tipicamente, gli studi trovano ridotti livelli di colesterolo totale e di colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità (LDL) nei vegetariani. Studi di intervento hanno ottenuto la riduzione dei livelli di colesterolo totale e LDL quando i soggetti sono stati passati dalla loro dieta usuale alla dieta vegetariana.
Il ridotto rischio di morte per cardiopatia ischemica osservato nei vegetariani potrebbe essere in parte spiegato dalle differenze nei livelli ematici di lipidi. Sulla base della valutazione dei livelli ematici di lipidi in un ampio studio di coorte, l'incidenza di cardiopatia ischemica è stata stimata essere inferiore del 24% nei vegetariani dalla nascita e del 57% nei vegani dalla nascita rispetto ai carnivori. Tipicamente, gli studi trovano ridotti livelli di colesterolo totale e di colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità (LDL) nei vegetariani. Studi di intervento hanno ottenuto la riduzione dei livelli di colesterolo totale e LDL quando i soggetti sono stati passati dalla loro dieta usuale alla dieta vegetariana.
Sebbene esista una limitata evidenza che una dieta vegetariana sia associata con più elevati livelli di colesterolo legato a proteine ad alta densità (HDL) o con più elevati o più bassi livelli di trigliceridi (TG), una dieta vegetariana risulta associata in modo consistente con ridotti livelli di colesterolo LDL. Altri fattori, come la variazione del BMI e il tipo di cibi consumati o evitati nel contesto di una dieta vegetariana, oppure differenze nello stile di vita, possono spiegare almeno in parte la mancata consistenza dei risultati che riguardano i livelli ematici dei lipidi.
I fattori che in una dieta vegetariana possono esercitare effetti benefici sui livelli ematici di lipidi includono: le più elevate quantità di fibre, il consumo di frutta secca e di soia, la presenza degli steroli vegetali e i ridotti contenuti di grassi saturi. I vegetariani consumano tra il 50% e il 100% in più di fibre rispetto ai non-vegetariani, con i vegani che presentano assunzioni maggiori dei latto-ovo-vegetariani. È stato ripetutamente dimostrato che le fibre solubili sono in grado di ridurre i liveli ematici di colesterolo totale e -LDL e di ridurre il rischio di malattia coronarica. Una dieta ricca di frutta secca riduce in modo significativo i livelli ematici di colesterolo totale e -LDL.
Gli isoflavoni della soia possono avere un ruolo nella riduzione dei livelli di colesterolo-LDL e della suscettibilità delle lipoproteine LDL all'ossidazione.
Gli steroli vegetali, che si trovano nei legumi, nella frutta secca e nei semi oleaginosi, nei cereali integrali e negli olii vegetali e in altri cibi vegetali, sono in grado di limitare l'assorbimento di colesterolo (NdT: dal tubo digerente) e ridurre i livelli ematici di colesterolo.
Gli steroli vegetali, che si trovano nei legumi, nella frutta secca e nei semi oleaginosi, nei cereali integrali e negli olii vegetali e in altri cibi vegetali, sono in grado di limitare l'assorbimento di colesterolo (NdT: dal tubo digerente) e ridurre i livelli ematici di colesterolo.
Fattori associati con le diete vegetariane che possono influenzare il rischio di CVD. Altri fattori presenti nelle diete vegetariane possono influenzare il rischio CVD indipendentemente dagli effetti sui livelli di colesterolo. I cibi che ricorrono in modo frequente nella dieta vegetariana e che possono offrire protezione nei confronti della CVD includono le proteine della soia, frutta e verdura, cereali integrali e frutta secca.
I vegetariani, inoltre, sembrano consumare più fitocomposti dei non-vegetariani dal momento che una importante percentuale dell'energia della loro dieta deriva da cibi vegetali. I flavonoidi e altri fitocomposti sembrano possedere effetto protettivo come antiossidanti e come agenti antiinfiammatori, inoltre sarebbero in grado di ridurre l'aggregazione piastrinica e la formazione di trombi, e migliorare la funzione endoteliale.
È stato osservato che i latto-ovo-vegetariani evidenziano una risposta vasodilatatrice significativamente migliore, suggerendo un effetto favorevole della dieta vegetariana sulla funzione dell'endotelio vascolare.
L'analisi dell'evidenza è stata condotta per esaminare come la natura dei macronutrienti delle diete vegetariane possa essere correlata ai fattori di rischio cardiovascolari. EAL Conclusion Statement: non è stata identificata nessuna ricerca che soddisfi i criteri di inclusione e che esamini l'assunzione in micronutrienti delle diete vegetariane e i fattori di rischio cardiovascolare.
I vegetariani, inoltre, sembrano consumare più fitocomposti dei non-vegetariani dal momento che una importante percentuale dell'energia della loro dieta deriva da cibi vegetali. I flavonoidi e altri fitocomposti sembrano possedere effetto protettivo come antiossidanti e come agenti antiinfiammatori, inoltre sarebbero in grado di ridurre l'aggregazione piastrinica e la formazione di trombi, e migliorare la funzione endoteliale.
È stato osservato che i latto-ovo-vegetariani evidenziano una risposta vasodilatatrice significativamente migliore, suggerendo un effetto favorevole della dieta vegetariana sulla funzione dell'endotelio vascolare.
L'analisi dell'evidenza è stata condotta per esaminare come la natura dei macronutrienti delle diete vegetariane possa essere correlata ai fattori di rischio cardiovascolari. EAL Conclusion Statement: non è stata identificata nessuna ricerca che soddisfi i criteri di inclusione e che esamini l'assunzione in micronutrienti delle diete vegetariane e i fattori di rischio cardiovascolare.
Non tutti gli aspetti delle diete vegetariane sono associati con una riduzione del rischio per cardiopatia. I più elevati livelli di omocisteina plasmatica che sono stati riportati in alcuni vegetariani, apparentemente riconducibili a inadeguate assunzioni di vitamina B12, possono aumentare il rischio CVD, sebbene non tutti gli studi supportino questo dato.
Le diete vegetariane sono state utilizzate con successo nel trattamento della CVD. Un regime dietetico quasi-vegano (che permetteva l'inclusione solo di limitate quantità di latticini magri e di albume d'uovo) a contenuto di grassi molto ridotto (inferiore o uguale al 10% dell'energia totale), associato a esercizio fisico, cessazione del fumo di sigaretta e controllo dello stress, è stato in grado di ridurre i livelli ematici di lipidi, la pressione arteriosa, il peso corporeo e di migliorare la qualità dell'esercizio fisico.
Una dieta quasi-vegana ricca di fitosteroli, fibre viscose, frutta secca e proteine della soia ha dimostrato di essere efficace quanto una dieta a basso contenuto di grassi saturi e il trattamento con statine nel ridurre i ivelli ematici di colesterolo LDL.
Le diete vegetariane sono state utilizzate con successo nel trattamento della CVD. Un regime dietetico quasi-vegano (che permetteva l'inclusione solo di limitate quantità di latticini magri e di albume d'uovo) a contenuto di grassi molto ridotto (inferiore o uguale al 10% dell'energia totale), associato a esercizio fisico, cessazione del fumo di sigaretta e controllo dello stress, è stato in grado di ridurre i livelli ematici di lipidi, la pressione arteriosa, il peso corporeo e di migliorare la qualità dell'esercizio fisico.
Una dieta quasi-vegana ricca di fitosteroli, fibre viscose, frutta secca e proteine della soia ha dimostrato di essere efficace quanto una dieta a basso contenuto di grassi saturi e il trattamento con statine nel ridurre i ivelli ematici di colesterolo LDL.
Ipertensione
Uno studio trasversale e uno studio di corte hanno dimostrato la presenza di ridotti tassi di ipertensione tra i vegetariani rispetto ai non-vegetariani. Analoghi risultati sono stati riportati negli Avventisti del Settimo giorno delle Barbados e in risultati preliminari della coorte dell'Adventist Health Study-2.
I vegani evidenziano ridotti tassi di ipertensione rispetto anche agli altri vegetariani. Parecchi studi hanno riportato ridotti valori di pressione arteriosa nei vegetariani rispetto ai non-vegetariani, sebbene altri studi abbiano osservato minime differenze nella pressione arteriosa tra vegetariani e non-vegetariani.
Almeno uno degli studi che hanno riportato ridotti valori di pressione arteriosa nei vegetariani ha indicato il BMI, più che la dieta, come maggior determinante della variazione, aggiustata sull'età, della pressione arteriosa.
I vegetariani tendono ad avere ridotti valori di BMI rispetto ai non-vegetariani; perciò, l'influenza della dieta vegetariana sul BMI può almeno in parte determinare le differenze riportate nella pressione arteriosa tra vegetariani e non-vegetariani. La variabilità nelle assunzioni dietetiche e nello stile di vita all'interno dei gruppi di vegetariani studiati può limitare la forza delle conclusioni sulla relazione fra dieta vegetariana e pressione arteriosa.
I vegetariani tendono ad avere ridotti valori di BMI rispetto ai non-vegetariani; perciò, l'influenza della dieta vegetariana sul BMI può almeno in parte determinare le differenze riportate nella pressione arteriosa tra vegetariani e non-vegetariani. La variabilità nelle assunzioni dietetiche e nello stile di vita all'interno dei gruppi di vegetariani studiati può limitare la forza delle conclusioni sulla relazione fra dieta vegetariana e pressione arteriosa.
I fattori di una dieta vegetariana che possono essere responsabili di una riduzione dei valori pressori, includono l'effetto cumulativo di vari composti benefici presenti nei cibi vegetali come potassio, magnesio, antiossidanti, tipo di grassi della dieta e fibre.
I risultati dello studio DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension), nel quale i soggetti consumavano una dieta a basso contenuto di grassi, ricca di frutta, verdura e latticini, suggeriscono come notevoli quantità dietetiche di potassio, magnesio e calcio rivestano un ruolo importante nella riduzione dei livelli di pressione arteriosa.
L'assunzione di frutta e verdura è risultata responsabile di circa la metà della riduzione dei valori di pressione arteriosa della dieta DASH.
Inoltre, nove studi hanno riportato come il consumo di 5-10 porzioni di frutta e verdura sia in grado di ridurre in modo significativo la pressione arteriosa.
I risultati dello studio DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension), nel quale i soggetti consumavano una dieta a basso contenuto di grassi, ricca di frutta, verdura e latticini, suggeriscono come notevoli quantità dietetiche di potassio, magnesio e calcio rivestano un ruolo importante nella riduzione dei livelli di pressione arteriosa.
L'assunzione di frutta e verdura è risultata responsabile di circa la metà della riduzione dei valori di pressione arteriosa della dieta DASH.
Inoltre, nove studi hanno riportato come il consumo di 5-10 porzioni di frutta e verdura sia in grado di ridurre in modo significativo la pressione arteriosa.
Diabete
E' stato riportato che gli Avventisti vegetariani hanno tassi di diabete inferiori rispetto agli Avventisti non-vegetariani. Nell'Adventist Health Study, il rischio di sviluppare diabete, aggiustato per età, è risultato il doppio nei non-vegetariani in confronto ai coetanei vegetariani. Sebbene l'obesità aumenti il rischio di diabete di tipo 2, l'assunzione di carne e di suoi prodotti trasformati si è dimostrata un fattore di rischio importante per il diabete anche dopo aggiustamento per il BMI. Anche nel Women's Health Study, gli Autori hanno osservato un'associazione positiva tra assunzione di carne rossa e prodotti trasformati e rischio di diabete, dopo aggiustamento per BMI, calorie totali e attività fisica. Un rischio significativamente aumentato di diabete è risultato più evidente in seguito al frequente consumo di carne trasformata come pancetta e hot dog. Questi risultati si mantengono significativi anche dopo un ulteriore aggiustamento per il contenuto di fibre, magnesio, grassi e il carico glicemico della dieta. In un ampio studio di coorte, il rischio relativo per il diabete di tipo 2 nelle donne, per ciascun incremento di assunzione di una porzione, è risultato 1.26 per la carne rossa e 1.38-1.73 per la carne trasformata.
Inoltre, più elevate assunzioni di verdura, cibi a base di cereali integrali, legumi e frutta secca sono stati tutti associati con un rischio sensibilmente ridotto di insulino-resistenza e diabete di tipo 2 e con un miglior controllo glicemico, sia in individui normali che in individui con insulino-resistenza. Studi osservazionali hanno trovato che diete ricche in cibi a base di cereali integrali risultano associate con un miglioramento della sensibilità all'insulina. Questo effetto può essere in parte mediato dai significativi livelli di magnesio e fibre dei cereali contenuti nei cibi a base di cereali integrali. Soggetti con elevati livelli di glucosio ematico possono ottenere un miglioramento dell'insulino-resistenza e un abbassamento della glicemia a digiuno dopo il consumo di cereali integrali. Le persone che consumano circa 3 porzioni al giorno di cibi a base di cereali integrali hanno una probabilità ridotta del 20-30% di sviluppare diabete di tipo 2 rispetto a chi ne consuma in quantità inferiori (meno di 3 porzioni alla settimana). Nel Nurses' Health Study, il consumo di frutta secca è risultato inversamente associato con il rischio di diabete di tipo 2 dopo aggiustamento per BMI, attività fisica e molti altri fattori. Il rischio di diabete per coloro che consumavano frutta secca cinque o più volte alla settimana è risultato ridotto del 27% rispetto ai soggetti con un consumo vicino allo zero, mentre il rischio di diabete per gli individui che consumavano burro di arachidi almeno cinque volte alla settimana (equivalenti a 150 g di burro di arachidi alla settimana) è risultato ridotto del 21% rispetto a coloro che non ne consumavano mai.
Poiché i legumi contengono carboidrati a lenta digestione e sono ricchi di fibre, è prevedibile che siano in grado di migliorare il controllo glicemico e ridurre l'incidenza di diabete. In un ampio studio prospettico, è stata evidenziata nelle donne cinesi la presenza di un'associazione inversa tra l'assunzione totale di legumi, arachidi, soia e altri legumi e l'incidenza di diabete di tipo 2, dopo aggiustamento per BMI e altri fattori di rischio. Il rischio di diabete di tipo 2 è risultato inferiore del 38% e del 47% per le donne che consumavano elevate quantità totali di legumi e soia rispettivamente, in confronto a coloro che presentavano assunzioni ridotte. In uno studio prospettico, il rischio di diabete di tipo 2 è risultato inferiore del 28% per le donne nel quintile superiore di consumo di verdura, ma non di frutta, in confronto a quelle nel quintile inferiore di consumo di verdura. I singoli gruppi di verdura sono risultati tutti inversamente e significativamente associati con il rischio di diabete di tipo 2. In un altro studio, il consumo di verdura a foglia verde e di frutta, ma non di succhi di frutta, è risultato associato con un ridotto rischio di diabete.
Le diete vegane ricche di fibre si caratterizzano per un ridotto indice glicemico e un basso o moderato carico glicemico. In uno studio clinico randomizzato di cinque mesi, una dieta vegana a basso contenuto di grassi ha dimostrato di essere in grado di migliorare in modo considerevole il controllo glicemico in pazienti con diabete di tipo 2, permettendo al 43% dei soggetti di ridurre la terapia antidiabetica. Questi risultati hanno superato quelli ottenuti nello stesso studio dalla dieta consigliata nelle Linee Guida della American Diabetes Association (norme dietetiche individualizzate basate sul peso corporeo e sulle concentrazioni ematiche di lipidi; 15%-20% di proteine; < 7% grassi saturi; 60%-70% carboidrati e grassi monoinsaturi; <= 200 mg di colesterolo).
Obesità
Nella popolazione degli Avventisti, in cui circa il 30% degli individui segue una dieta senza carne, il modello dietetico vegetariano è risultato associato con un più basso BMI, e il valore di questo parametro aumentava sia negli uomini che nelle donne con l'aumento della frequenza di consumo di carne. Nell'Oxford Vegetarian Study, in tutti i gruppi di età e sia negli uomini che nelle donne, i valori di BMI erano più elevati nei non-vegetariani rispetto ai vegetariani. In uno studio trasversale di 37.875 adulti, dopo aggiustamento per l'età, i carnivori presentavano i più elevati valori medi di BMI, e i vegani i più bassi, mentre il BMI degli altri vegetariani si collocava su valori intermedi. In una coorte di individui responsabili dell'EPIC-Oxford Study, l'incremento ponderale in un periodo di 5 anni è risultato essere il più basso tra coloro che si spostavano verso una dieta che conteneva una minor quantità di cibi animali.
In un ampio studio trasversale britannico, è stato osservato che le persone che diventavano vegetariane da adulte non presentavano differenze nel BMI o nel peso corporeo in confronto ai soggetti vegetariani dalla nascita. Comunque, coloro che stavano seguendo una dieta vegetariana da almeno 5 anni, presentavano tipicamente un più basso BMI. Tra gli Avventisti delle Barbados, il numero di vegetariani obesi, che stavano seguendo questo tipo di alimentazione per più di 5 anni, era inferiore del 70% rispetto al numero di obesi onnivori, nonostante i vegetariani recenti (che seguivano la dieta da meno di 5 anni) avessero un peso corporeo simile a quello degli onnivori. Una dieta vegetariana a basso contenuto di grassi (NdT: vegana) ha dimostrato di essere più efficace per la perdita di peso nel lungo termine in un campione di donne in post-menopausa rispetto alla dieta più convenzionale del NCEP (National Cholesterol Education Program). I vegetariani possono presentare un più basso BMI grazie al più elevato consumo di cibi ricchi di fibre e a bassa densità calorica come la frutta e la verdura.
Cancro
I vegetariani tendono a presentare ridotti tassi di tutti i tipi di cancro se confrontati con la popolazione generale, e questo non è limitato ai tumori legati al fumo. I dati che derivano dall'Adventist Health Study hanno dimostrato che i non-vegetariani presentavano un sostanziale aumento del rischio sia per i tumori del colon-retto che della prostata, in confronto ai vegetariani, mentre non erano presenti differenze significative nel rischio di tumore di polmone, mammella, utero, stomaco tra i gruppi, dopo controllo per età, sesso e abitudine al fumo. L'obesità è un importante fattore che aumenta il rischio di cancro in molte sedi. Dal momento che il BMI dei vegetariani tende a essere più basso di quello dei non-vegetariani, il più basso peso corporeo dei vegetariani può costituire un importante fattore di protezione. Una dieta vegetariana fornisce inoltre una varietà di molecole protettive nei confronti del cancro. Gli studi epidemiologici hanno dimostrato in modo consistente che il consumo regolare di frutta e verdura è solidamente associato con la riduzione del rischio di alcuni cancri. In contrasto, tra le sopravvissute di cancro della mammella al primo stadio delWomen's Healthy Eating and Living Trial, l'adozione di una dieta arricchita con l'aggiunta quotidiana di frutta e verdura non ha ridotto le recidive o la mortalità in un periodo di sette anni.
La frutta e la verdura contengono una complessa mistura di fitocomposti, che possiedono una potente attività antiossidante, antiproliferativa e protettiva nei confronti dei tumori. Queste sostanze possono esplicare effetti cumulativi e sinergici, soprattutto se a partire dai cibi integrali. Questi fitocomposi interferiscono con molti processi cellulari coinvolti nella progressione del cancro. Tali meccanismi includono l'inibizione della proliferazione cellulare, l'inibizione della formazione di DNA-addotti, l'inibizione di enzimi di fase 1, l'inibizione dei circuiti di trasduzione del segnale e dell'espressione degli oncogeni, l'induzione dell'arresto del ciclo cellulare e dell'apoptosi, l'induzione degli enzimi di fase 2, il blocco dell'attivazione del fattore nucleare kappa-B e l'inibizione dell'angiogenesi.
Sulla base di quanto riportato nel recente documento del World Cancer Research Fund, frutta e verdura risultano protettive nei confronti dei tumori del polmone, del cavo orale, dell'esofago e dello stomaco e in forma minore di altri siti. Il consumo regolare di legumi fornisce inoltre una qualche protezione nei confronti dei tumori dello stomaco e della prostata. È stato riportato che le fibre, la vitamina C, i carotenoidi, i flavonoidi e altri fitocomposti della dieta sono in grado di esercitare un'azione protettiva nei confronti di vari tipi di cancro. Le verdure della famiglia dell'Allium possono proteggere nei confronti del tumore dello stomaco, e l'aglio risulta protettivo nei confronti del tumore del colon-retto. È stato riportato che la frutta ricca del pigmento rosso lycopene ha azione protettiva nei confronti del cancro della prostata. Recentemente, studi di coorte hanno suggerito che elevate assunzioni di cereali integrali sono in grado di fornire una sostanziale protezione nei confronti di vari tipi di tumore. La pratica di regolare attività fisica fornisce una protezione significativa nei confronti della maggior parte dei più diffusi cancri. Sebbene frutta e verdura contengano una grande varietà di potenti fitocomposti, gli studi di popolazione umana non hanno mostrato grandi differenze nell'incidenza di cancro o nei tassi di mortalità tra i vegetariani e i non-vegetariani. Probabilmente, sono necessari dei dati più dettagliati sui consumi alimentari dal momento che la biodisponibilità e la potenza dei fitocomposti è dipendente dalla preparazione dei cibi così come dal consumo dei cibi vegetali in forma cotta o cruda.
Nel caso del tumore alla prostata, un elevato consumo di latticini è in grado di ridurre l'effetto chemioprotettivo di una dieta vegetariana. Il consumo di latticini e di altri cibi ricchi di calcio è stato associato con un rischio aumentato di tumore alla prostata, sebbene non tutti gli studi supportino questo riscontro. Il consumo di carni rosse e carni trasformate risulta associato in modo consistente con un aumento del rischio di cancro del colon-retto. Per contro il consumo di legumi è risultato associato negativamente con il rischio di tumore del colon nei non-vegetariani.
In un'analisi che combina i risultati di 14 studi di coorte, il rischio aggiustato di cancro del colon è risultato ridotto in modo sostanziale da consumi elevati di frutta e verdura quando confrontati con bassi consumi. L'assunzione di frutta e verdura è risultata associata con un ridotto rischio di cancro del colon distale ma non di quello prossimale. I vegetariani presentano un consumo di fibre nettamente superiore rispetto ai non-vegetariani. Si suppone che un elevato consumo di fibre sia in grado di proteggere nei confronti del tumore del colon, sebbene non tutti gli studi supportino questa ipotesi. Lo studio EPIC, condotto in 10 paesi Europei, ha riportato una riduzione del 25% del rischio di tumore del colon-retto nel quartile superiore di consumo di fibre dietetiche in confronto al quartile inferiore. Sulla base di questi risultati, Bingham e collaboratori hanno calcolato che in una popolazione in cui il consumo di fibre sia basso, il raddoppio dell'assunzione di fibre potrebbe essere in grado di ridurre del 40% il cancro del colon-retto. D'altra parte l'analisi combinata di 13 studi prospettici ha riportato che elevati consumi di fibre dietetiche non risulterebbero associati con un rischio ridotto di tumore del colon-retto dopo aggiustamento per molti altri fattori di rischio.
È stato dimostrato che gli isoflavoni della soia e i cibi a base di soia possiedono proprietà anticancro. Una metanalisi di 8 studi condotti nella popolazione Asiatica che tipicamente consuma elevate quantità di soia, hanno dimostrato un trend significativo di riduzione del rischio di cancro della mammella con l'incremento dell'assunzione di cibi a base di soia. Al contrario, l'assunzione di soia non è risultata correlata con il rischio di cancro nella mammella in studi condotti in undici popolazioni dei paesi Occidentali con basso consumo di soia. In ogni caso, rimane controversa l'importanza della soia come agente cancroprotettivo, dal momento che non tutte le ricerche supportano il suo ruolo protettivo nei confronti del tumore della mammella. D'altra parte, il consumo di carne è stato associato in alcuni studi, anche se non in tutti, con un aumento rischio di tumore della mammella. Uno studio ha dimostrato che il rischio di tumore della mammella aumenta del 50-60% per ogni porzione giornaliera di 100 g di carne in più.
Osteoporosi
I latticini, i vegetali a foglia verde e i cibi vegetali fortificati con il calcio (comprese alcune marche di cereali per colazione, di bevande di soia, di riso e succhi di frutta) possono fornire molto calcio dietetico ai vegetariani. Gli studi di popolazione trasversali e prospettici pubblicati nel corso dell'ultimo ventennio suggeriscono che non ci sarebbe differenza tra onnivori e latto-ovo-vegetariani nella densità minerale ossea (BMD), sia dell'osso trabecolare che di quello corticale. Sebbene esistano pochissimi dati sulla salute dell'osso dei vegani, alcuni studi suggeriscono che la densità ossea sarebbe ridotta nei vegani in confronto ai non-vegetariani. Le donne asiatiche vegane presentavano in questi studi bassissime assunzioni sia di proteine che di calcio. Un'assunzione non adeguata di proteine e basse assunzioni di calcio sono state associate con una perdita di massa ossea e con le fratture del femore e della colonna negli adulti anziani.
Inoltre, lo stato della vitamina D è risultato compromesso in alcuni vegani. I risultati dello studio EPIC-Oxford forniscono evidenza che il rischio di fratture per i vegetariani è simile a quello degli onnivori. Il più alto rischio di fratture nei vegani è risultato essere una conseguenza delle ridotte assunzioni di calcio. Infatti, i tassi di frattura nei vegani che consumavano più di 525 mg di calcio al giorno non sono risultati differenti a quelli degli onnivori.
Quando si valuti la salute dell'osso, vanno comunque considerati altri fattori associati con una dieta vegetariana, come il consumo di frutta e verdura, l'assunzione di soia e il consumo di verdura a foglia verde, ricca di vitamina K. L'osso ha un ruolo protettivo nel mantenere stabile il pH dell'organismo. È stato visto che l'acidosi è in grado di sopprimere l'attività degli osteoblasti attraverso l'espressione genetica di specifiche proteine della matrice e la diminuzione dell'attività della fosfatasi alcalina. La produzione di prostaglandine da parte degli osteoblasti aumenta la sintesi del recettore degli osteoblasti in grado di attivare il fattore nucleare kappaB legante. L'induzione acida del recettore dell'attivatore del fattore nucleare kappaB legante stimola l'attività degli osteoclasti e il reclutamento di nuovi osteoclasti per aumentare il riassorbimento dell'osso e tamponare il carico di protoni. Un aumentato consumo di frutta e verdura esercita un effetto positivo sull'economia del calcio e sui marcatori del metabolismo osseo.
L'elevato contenuto di potassio e magnesio di frutta, frutta di bosco, verdura, con le loro scorie alcaline, rende questi cibi degli agenti dietetici preziosi per l'inibizione del riassorbimento osseo. La BMD al collo femorale e alle vertebre lombari di donne in pre-menopausa è risultata più elevata del 15-20% per le donne nel quartile superiore di assunzione di potassio in confronto a quelle del quartile inferiore. Il potassio della dieta, un indicatore della produzione acida endogena netta e del consumo di frutta e verdura, è risultato in grado di esercitare una modesta influenza sui marcatori di salute ossea, che nel corso della vita può contribuire a ridurre il rischio di osteoporosi.
Elevate assunzioni di proteine, soprattutto se di origine animale, possono aumentare la calciuria. Le donne in post-menopausa che consumavano diete ricche di proteine animali con ridotto contenuto di proteine vegetali, presentavano un elevato tasso di perdita ossea e un rischio di frattura del femore molto aumentato. Sebbene un'eccessiva assunzione di proteine possa compromettere la salute dell'osso, è pure evidente che ridotte assunzioni di proteine possono aumentare il rischio di una ridotta integrità dell'osso. I livelli ematici di osteocalcina sottocarbossilata, un marcatore sensibile dello stato della vitamina K, sono utilizzati per indicare il rischio di frattura del femore e come predittori della BMD. I risultati di due ampi studi prospettici di coorte suggeriscono una relazione inversa tra l'assunzione di vitamina K (e di vegetali a foglia verde) e rischio di frattura di femore.
Studi clinici a breve termine suggeriscono che le proteine della soia, ricche di isoflavoni, sarebbero in grado di ridurre la perdita di osso vertebrale nelle donne in post-menopausa. In una metanalisi di dieci studi clinici controllati e randomizzati, gli isoflavoni della soia hanno dimostrato di possedere effetti significativamente benefici sulla BMD del rachide. In uno studio clinico controllato e randomizzato, le donne in post-menopausa che ricevevano genisteina hanno mostrato una riduzione significativa dell'escrezione urinaria di deossipiridinolina (un marcatore del riassorbimento osseo), e un aumento dei livelli ematici di fosfatasi alcalina osso-specifica (un marcatore di produzione ossea). In un'altra metanalisi di nove studi controllati e randomizzati su donne in menopausa, gli isoflavoni della soia sono risultati in grado di inibire in misura significativa il riassorbimento osseo e di stimolare la formazione dell'osso, in confronto al placebo.
Per favorire la salute dell'osso, i vegetariani dovrebbero essere incoraggiati a consumare cibi in grado di fornire adeguati introiti di calcio, di vitamina D, di vitamina K, di potassio e di magnesio; quantità di proteine adeguate, ma non eccessive; e, infine, di consumare generose quantità di frutta e verdura e prodotti a base di soia, con minime quantità di sodio.
Malattie Renali
Elevate e durature assunzioni di proteine dietetiche (sopra 0.6 g/Kg/giorno per una persona con insufficienza renale che non necessiti di dialisi o sopra i Dietary Reference Intake per le proteine di 0.8 g/kg/giorno per persone con funzionalità renale normale), sia di origine animale che vegetale, possono peggiorare un'esistente patologia renale cronica o causare danni renali in soggetti con normale funzionalità renale. Questo fatto potrebbe essere riferito ai più elevati tassi di filtrazione glomerulare associati alle più elevate assunzioni di proteine. Diete vegane a base di soia sembrano essere nutrizionalmente adeguate per soggetti con nefropatia cronica e possono rallentare la progressione dell'insufficienza renale.
Demenza
Un singolo studio suggerisce che i vegetariani sarebbero a rischio ridotto di sviluppare demenza rispetto ai non-vegetariani. Questo rischio ridotto potrebbe essere riferibile ai più bassi valori di pressione arteriosa osservati nei vegetariani o alle più elevate assunzioni di antiossidanti. Altri possibili fattori in grado di ridurre il rischio potrebbero includere una ridotta incidenza di malattie cerebrovascolari e una possibile riduzione nell'uso di ormoni in post-menopausa. I vegetariani possono comunque presentare dei fattori di rischio per demenza. Per esempio, uno stato mediocre della vitamina B12 è stato messo in relazione con un aumentato rischio di demenza, apparentemente a causa dell'iperomocisteinemia, che è stata osservata in condizioni di carenza di vitamina B12.
Altri Effetti Salutistici delle Diete Vegetariane
In uno studio di coorte è stato riportato che i vegetariani di mezza età hanno una probabilità ridotta del 50% di presentare diverticolite in confronto ai non-vegetariani. Le fibre sono considerate essere il fattore protettivo più importante, mentre l'assunzione di carne può aumentare il rischio di diverticolite. In uno studio di coorte di 800 donne di età compresa tra i 40 e i 69 anni, le donne non-vegetariane avevano una probabilità più che doppia rispetto alle vegetariane di soffrire di calcoli della colecisti, anche dopo controllo per obesità, sesso ed età. Parecchi studi, condotti da un gruppo di ricerca in Finlandia, suggeriscono che il digiuno, seguito da una dieta vegana, potrebbe essere utile nel trattamento dell'artrite reumatoide.
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